La palla di pezza

Può una grande storia, trasformare una cianfrusaglia senza alcun valore, in un oggetto significativo?

Nel 2009, due giornalisti americani, Rob Walker e Joshua Glenn, presero alcuni oggetti privi di rilevante valore commerciale – palle di pezza, vecchie scarpe, statuine, saliere, tazze, candele, pupazzetti – e li misero in vendita su eBay. Ogni oggetto all’asta era accompagnato da una didascalia, un racconto di cui era protagonista. Questo esperimento fece incassare a Walker e Glenn più di tremila e seicento dollari in 5 mesi. Circa 36 volte l’importo iniziale investito.

Ognuna di quelle insignificanti chincaglierie era stata trasformata in un oggetto di valore, grazie ad una storia.

Quella in foto è una palla di pezza, e qui trovate il racconto della palla di pezza.

Io penso sia geniale.

Dopo aver letto questa notizia, come pop corn, alcune idee hanno cominciato a scoppiettare nella mia testa.

RACCONTARE E’ UN’INTER-AZIONE – Ricordate il film Cast Away, con Tom Hanks? Lo sfortunato Chuck, naufrago su un’isola deserta dopo un incidente aereo, ritrova tra i resti portati dal mare un pallone della marca Wilson, che diventa il suo unico compagno con cui parlare e confidarsi. Il protagonista sceglie un insignificante pallone come destinatario dei suoi racconti e partecipe di un destino. Condividendo così un’esperienza altrimenti indicibile, riesce a mantenere [relativamente] integra la sua condizione psicologica, a non impazzire.

Raccontare, raccontarsi è proprio un’inter-azione, che si iscrive nelle relazioni sociali e consente di reintegrare parti di un sé frammentato. Attraverso il racconto può avvenire una liberazione, una riconciliazione, a volte solo un’accettazione di un’esperienza anche traumatica. Siamo animali narrativi e abbiamo bisogno di raccontarci, perché siamo imperfetti, mancanti e incompleti. E questa percezione di imperfezione genera una tensione, una pulsione a dirsi.

LA VITA NASCOSTA – Quando conversiamo e condividiamo la nostra storia, generalmente, il racconto risente però di alcuni limiti che nel linguaggio interiore non incontriamo. Si tratta degli argomenti che Forster [1] abbraccia nella definizione di vita nascosta

le pure passioni, quei sogni, quelle gioie, quei dolori e quei colloqui con se stesso di cui l’educazione o il pudore vietano di fare parola

e che nel nostro linguaggio privato e silenzioso, restano invece mobili e liberi di violare regole del pensiero formale, vincoli grammaticali e logici, attivando preziosi processi di insight. Bruner [2] sostiene che nella autobiografia un narratore qui e ora racconta lo sviluppo di un protagonista là e allora, col quale condivide lo stesso nome. L’autobiografia dimostra come il narratore nel presente, si ricongiunga con il protagonista nel passato. Per riuscirci, l’autobiografia deve dar conto di come si possano verificare due processi:

1) diventare diversi
2) restare gli stessi

Il racconto deve riuscire a spiegare come è avvenuta la trasformazione e poi la riconciliazione.

NARRAZIONE, QUAL È LA TUA FUNZIONE – Perché raccontare qui ed ora il passato, ci porta dritti al futuro? La narrazione di sé è molto efficace, per liberare da tutti quei blocchi evolutivi, che spesso ci impediscono di cambiare atteggiamento, abitudini e modi di pensare. I racconti posso essere dei dispositivi terapeutici, e ce lo dimostrano le soluzioni verificate nell’ambito della medicina narrativa. In misura diversa, tutti noi risentiamo di pregiudizi originari dell’educazione ricevuta nell’infanzia. Alcune convinzioni sulla vita, sul mondo, su noi stessi e sugli altri trovano fondamento proprio lì, in un tempo vissuto in cui si sono strutturati i nostri giovani modelli mentali. Mentre raccontiamo la nostra storia, possiamo diventare consapevoli di quante contraddizioni siano presenti nel percorso esistenziale che ci riguarda.

Ogni autobiografia ha una serie di temi fondativi o bio-temistrutture profonde di partenza, che fanno da sfondo al nostro star bene, alla nostra illusione di preveggenza. E questo è valido anche quando sono disfunzionali: c’è un meccanismo perverso, per cui il vantaggio secondario associato, ci procura comunque quel senso di terrificante sicurezza… Noi possiamo scegliere se dare della nostra vita un racconto con effetto placebo o nocebo. Volete provare?

Inizio io. Dai.

UNA STORIA SBAGLIATA – Io, per esempio, ho un’autobiografia che a raccontarla è tutto un punto e contrappunto di sfide vissute (o solo sentite?), lanciate e accettate. Il mood, per capirci, è la sfida. O almeno così mi è sempre sembrato. Draghi e fossati, duelli e manipoli, ogni passaggio evolutivo è stato bagnato da lacrime e ‘nfamità. Però, a rileggerla bene… nella mia storia manca qualcosa: tra polveroni e contusioni, c’è stato anche qualche (molto) prosecco in compagnia, c’è stata festa e musica, e anche tanto silenzio e pace. Solitudine e confusione. Paura e ansia. Risate. Più di un insignificante oggetto, dunque, di cui non parlo mai. E una vita segreta che non sempre sembra avventurosa.

Insomma è una storia da (non) raccontare?

E’ una storia da dimenticare
è una storia da non raccontare
è una storia un po’ complicata
è una storia sbagliata

Fabrizio De André

SOTTO A CHI TOCCA – Prendete carta e penna o il tablet, come vi pare. Scrivete!

STEP 1 – Scrivete la vostra autobiografia. Come è andata fino ad oggi? Che sapore ha la vostra storia? C’è avventura e mistero? Successo ed eroismo? Avversità e disdette? Amore e passione? Rileggetela bene. Vi piace? C’è tutto? Confessate!

Quando ero piccolo, e andavo a scuola insieme a mio fratello, mia madre mi diceva di tenerlo per mano, e questo mi sembrava giusto e anche responsabile. Quello che non capivo è perché mi diceva sempre: «mi raccomando, quando passate per quella strada dove non c’è il marciapiede, mettiti sempre tu dal lato della strada, dove passano le automobili». Io lo facevo, e lo facevo con diligenza, ma ero molto dispiaciuto. Per me significava: «io spero che nessuna auto vi butti sotto, ma se proprio dovesse succedere, preferisco che muoia tu piuttosto che lui». La cosa mi rendeva abbastanza agitato. Anche perché, ogni volta che le chiedevo un po’ piú di nutella nel panino, lei diceva che non era giusto, e che eravamo tutti uguali; e a quel punto non ho mai avuto il coraggio di risponderle: «e allora se siamo tutti uguali, la mattina dal lato della strada si mette chi capita, o facciamo una mattina per uno, cosí le possibilità di essere investiti sono alla pari» [3]

STEP 2 – Adesso scrivete il copione ideale. Avrete sicuramente un copione di vita desiderato, una trama che con i suoi intrecci dà voce a sceneggiature che vorreste interpretare, a dispetto – forse – di quelle che vivete e che talvolta tendete a ripetere (frames e scripts, che passione! Ne ho già parlato in questo post, tempo fa).

Che cosa volete ci sia nel vostro copione dei sogni? Davvero, non sto scherzando. Provateci. Decidete: che cosa volete? Che cosa davvero vi farebbe sentire bene? (prego astenersi aspiranti vincitori di lotterie e gratta-e-vinci 😉 )

Iniziate a scrivere, pensando che sia possibile realizzare questo copione.

  • Che cosa vi butterà giù dal letto la mattina, gridando Alé Alé! ?

  • Che cosa renderà sopportabile ogni sforzo, pur di riuscire?

  • Che cosa darà davvero senso alle vostre giornate?

  • Che persone sarete, quando vi troverete a vivere questo film?

Tutti hanno uno scopo, che lo conoscano o meno. Talvolta le persone, sentono profondamente il loro scopo, ma non sanno come esprimerlo a parole. Nel momento in cui il linguaggio è chiaro, diventa più facile seguire intenzionalmente il proprio scopo e viverlo. Non è mai troppo tardi per apprendere il tuo scopo. (…) Le nostre visioni, fantasie e sogni rappresentano immagini di come la nostra vita possa essere nel momento stesso in cui scegliamo di viverla seguendo il nostro scopo. [4]

UNA QUESTIONE DI READERSHIP (E DI ZENZERO) – È ora di pensare alla palla di pezza. Pensiamoci tutti. A quella storia che ancora non abbiamo raccontato, per rendere davvero speciale ed interessante una parte della nostra esistenza, un aspetto di noi, un ricordo secondario, un fattaccio senza alcuna readership. Se vogliamo toccare la profondità di sguardo, dobbiamo restituire dignità anche agli scarti. Consideratela un’operazione di eco-food recycling, di riuso creativo, di rigenerazione fattuale. Non tralasciate nulla. Pensate in modalità centrifugato: potete ottenerlo con puliture di vegetali, bucce, parti dure. Per dare carattere e sapore, aggiungete un pizzico di zenzero. Che sapore ha, adesso?

COM’È PROFONDO IL MARE – Un post-it per me stessa: insistere sull’importanza di comprendere la potenza della narrazione, come percorso di (ri)costruzione del sé e come luogo di incontro con l’altro che ascolta, in cui azione e relazione si intrecciano per generare visioni nuove. E’ importante per il singolo individuo, ma anche per le organizzazioni, incluse le aziende. Anche qui può essere utile intervenire sull’identità e sulla cultura organizzativa, facendo emergere eventuali “lati oscuri” del racconto organizzativo, per agevolare l’espressione di una conoscenza tacita sempre ricca di risorse creative inesplorate.

E’ chiaro
Che il pensiero dà fastidio
Anche se chi pensa
E’ muto come un pesce
Anzi un pesce
E come pesce è difficile da bloccare
Perché lo protegge il mare
Com’è profondo il mare

Lucio Dalla

[1] E. M. Forster, Aspetti del Romanzo, 1991
[2] J. Bruner, L’autobiografia come cura di sé, 1990
[3] F. Piccolo, Storie di primogeniti e figli unici, 2012
[4] Teri-E Belf, Facilitare la life purpose, 2009