
15 Ago Verbalia | Nonluogo
I nonluoghi sono ovunque, ma chi li attraversa non si sente mai davvero a casa. Aeroporti, centri commerciali, autogrill, corsie dei supermercati, spazi digitali, piattaforme web standardizzate. Spazi utili ma senza radicamento, perfetti per chi è in viaggio, ma quasi ostili al vivere con consapevolezza di sé e degli altri. Per prendere coscienza dei nonluoghi che distrattamente abitiamo ogni giorno, è utile interrogarne il significato. Se i nonluoghi sono inevitabili, è importante non perdere del tutto i luoghi dell’identità, della comunità e della storia condivisa.
Il termine nonluogo – dal francese non-lieu – è stato coniato dall’antropologo Marc Augé, che ne parla nel suo libro Nonluoghi. Introduzione a un’antropologia della surmodernità (1992). Augé analizza i cambiamenti culturali e spaziali che caratterizzano la surmodernità; la sua antropologia del quotidiano indaga i modi in cui la costante sovrapposizione di presente, passato e futuro, la mobilità, la globalizzazione si verifichino, a fronte di un eccesso di individualismo.
I nonluoghi sono spazi anonimi, impersonali e transitori, privi di identità, relazioni e memoria. A differenza dei luoghi antropologici – come una piazza, una casa o un villaggio – che generano legami e significati, i nonluoghi sono spazi privi di tradizione, mitologia e identità stabili; sono funzionali, ma progettati solo per muoversi, transitare e consumare. Qui si vive in solitudine, benché in mezzo agli altri, immersi tra segnaletiche e istruzioni asettiche, codici standard e tempi scanditi, ma svuotati di un vissuto consapevole. La relazione con gli altri è azzerata, e l’unico legame è con la funzione dello spazio.
Se un luogo può definirsi come identitario, relazionale e storico, un nonluogo è l’opposto: uno spazio che non crea né identità né relazione né memoria. — Marc Augé
L’abitare autentico
Martin Heidegger, nel saggio Costruire, abitare, pensare (1951), offre un punto di vista utile – pur lontano dal linguaggio antropologico moderno. Per Heidegger, l’abitare autentico è ciò che dà senso all’essere: abitare significa appartenere, radicarsi nel mondo, avere cura del luogo.
Solo se siamo capaci di abitare possiamo costruire. — Martin Heidegger
Il nonluogo è, in questo senso, l’opposto dell’abitare: uno spazio costruito senza abitabilità. L’essere umano, ridotto a consumatore o passeggero, non è più nel mondo, ma lo attraversa senza lasciarvi tracce.
Eterotopia
Michel Foucault parlava nel 1967 del concetto di eterotopia, intendendo gli spazi reali ma fuori dalla norma, che riflettono, sovvertono o sospendono l’ordine sociale.
Ci sono, in tutte le culture, dei luoghi reali, effettivi, luoghi che sono al di fuori di tutti i luoghi. — Michel Foucault, Des espaces autres (1967)
A differenza del nonluogo, l’eterotopia ha, però, una carica critica e simbolica: il carcere, il cimitero, l’ospedale, la nave: sono spazi al margine, ma pieni di senso. Il nonluogo, secondo la lettura foucaultiana, potrebbe, dunque, essere visto come eterotopia svuotata di potere, funzionale al controllo biopolitico, più che alla riflessione. Nel mondo ipermoderno, i nonluoghi non liberano, quindi, ma normalizzano. Ogni movimento è previsto, ogni gesto guidato.
Spazio liquido
Zygmunt Bauman, sociologo e filosofo morale, non parla direttamente di nonluoghi, ma il concetto è coerente con la sua teoria della modernità liquida. Bauman descrive una società in cui nulla è stabile, le relazioni sono fragili e gli spazi diventano transitori, consumabili.
Nella modernità liquida, lo spazio è attraversato più che abitato. È un contenitore di flussi, non di comunità. — Zygmunt Bauman
Il nonluogo, in questo senso, è l’elemento spaziale della liquidità: l’individuo attraversa ambienti che non lo riconoscono, e dove lui stesso non ha obblighi duraturi. Tutto è temporaneo, inclusa l’identità.
Non-lieu au travail
Anche in ambito professionale e aziendale, il nonluogo si traduce in un ambiente in cui si è presenti ma non coinvolti, connessi ma non in relazione, produttivi ma non riconosciuti. Se i contesti professionali che viviamo si trasformano – sempre più spesso – in nonluoghi, dove l’interazione può essere effimera e impersonale, priva di connessione umana significativa, l’effetto può essere di disconnessione emotiva, perdita di senso, fatica di appartenere.
Sospesi
Il periodo estivo, con le sue pause e transizioni, può essere considerato anch’esso un nonluogo – esistenziale e professionale. Il tempo della vacanza non è pienamente lavoro, ma spesso non è neanche pienamente riposo. I professionisti in ferie si trovano in sospensione, lontani dai ritmi quotidiani, ma spesso connessi via smartphone; disancorati dalle routine, ma ancora legati alle aspettative; in hotel, su un treno o in aeroporto, inconsapevoli abitanti di nonluoghi reali o simbolici. Eppure, anche questi spazi e tempi di sospensione possono offrire un’opportunità preziosa.
Dove sono, davvero?
Il nonluogo attraversato nel periodo estivo può diventare una pausa utile a capire e a sentire. Mentre siamo in spiaggia, in viaggio – magari immersi nel caos di un terminal, travolti da una folla assiepata davanti al departure board che lampeggia l’ennesimo ritardo. Ci sono questioni a cui possiamo provare a rispondere, proprio adesso, argomentando con spirito critico la nostra posizione. Tre domande per abitare con consapevolezza:
- Dove sono davvero, in questo momento? Mi sto solo muovendo o sto anche vivendo il mio spazio e il mio tempo?
- Cosa sto scegliendo di portare qui, adesso? Valori, intenzioni, energia: come sto contribuendo a questo luogo?
- Cosa mi serve per sentirmi presente, non solo occupato? Cosa mi manca per abitare pienamente questo spazio, invece che attraversarlo?
Il nonluogo può diventare luogo interiore, se scelto e vissuto consapevolmente. In questo senso, la pausa estiva offre un’occasione di riposizionamento personale e professionale. Let’s try.
Radicamento
L’antidoto al nonluogo, nella visione di Augé, non è dunque eliminarlo, ma riconoscere ciò che è luogo e ciò che non lo è, e costruire significato anche nei contesti transitori.
Cosa possiamo portare con noi, a settembre? Di nuovo, questioni aperte:
- chi sono professionalmente, oltre il mio ruolo?
- quale spazio mi sto costruendo davvero nel mio lavoro?
- mi sento in un luogo – con relazioni, senso, scopo – o sto solo transitando?
Quali strategie possiamo porre in essere, al rientro, per riabitare i luoghi del vivere professionale?
- umanizzare i team e i processi, creare spazi di ascolto reale; reintrodurre momenti di contatto personale, anche quando usiamo piattaforme digitali
- dare senso, riconnettere il nostro lavoro a un progetto significativo
- trovare tempo per il non-tempo, tutelare le pause, i momenti di vuoto creativo
Nutrire, nutrirci
Il nonluogo non è solo un concetto spaziale, ma un riflesso della condizione contemporanea. Come persone e come professionisti, abbiamo bisogno di luoghi che nutrono: relazioni autentiche, contesti riconoscibili, identità professionali coerenti. L’estate – e i suoi nonluoghi – può offrirci lo spazio per ripensare tutto questo, prima di riprendere il viaggio.
Bibliografia:
- Marc Augé, Nonluoghi. Introduzione a un’antropologia della surmodernità, Elèuthera, 1993
- Zygmunt Bauman, Modernità liquida, Laterza, 2002