
30 Lug Verbalia | Resfeber
Resfeber è una parola svedese densa di sfumature emotive e concettuali. È più facile viverla che spiegarla. Indica la particolare condizione interiore in cui si presenta l’ansia che precede un viaggio: la febbre dell’attesa, la tensione che si muove tra il desiderio di partire e il timore dell’ignoto. Etimologicamente, resfeber unisce res – viaggio – e feber – febbre – evocando una forma di agitazione, quasi fisiologica, che precede il cambiamento.
Arousal
In ambito psicologico, resfeber può essere interpretata come una forma di arousal anticipatorio, un’attivazione emotiva legata a eventi futuri, simile a ciò che la psicologia cognitiva definisce ansia adattiva, cioè, la tensione produttiva che prepara l’individuo all’azione. A differenza dell’ansia paralizzante, però, questa forma di sottile inquietudine accompagna il desiderio di muoversi verso il nuovo e l’ignoto.
Così intesa, resfeber si avvicina anche alla nozione di liminalità descritta dall’antropologo Victor Turner: uno stato di soglia tra ciò che è noto e ciò che deve ancora avvenire, tipico dei passaggi rituali, ma anche delle trasformazioni personali e professionali.
Spazi di transizione
Il periodo estivo è spesso generoso di opportunità per vivere la condizione resfeber. Le ferie, il distacco dal lavoro, i viaggi, le variazioni nel ritmo di vita e nelle abitudini sono spesso accompagnati da una combinazione di entusiasmo e nervosismo che precedono i cambiamenti di prospettiva. E lo stesso avviene – ahinoi! – prima del rientro da un viaggio, o al lavoro. Si tratta di momenti vissuti, a volte, come una sorta di resfeber al contrario: si anticipa il ritorno alla complessità e alla ripetitività del quotidiano con un po’ di apprensione, ma anche – e nel migliore dei casi – con rinnovata energia.
Questi momenti di passaggio, se vissuti con consapevolezza, possono tessere veri e propri spazi di transizione: occasioni per ridefinire priorità, rientrare con uno sguardo più ampio, capace, e per prepararsi a nuovi progetti.
Elena: una di noi?
Se le ferie sono già finite e bisogna tornare al lavoro, resfeber si potrebbe presentare, quindi, nelle sue vesti meno comode. Potremmo dover fare i conti con l’agitazione che precede il rientro, o magari un cambiamento importante: l’inizio di un nuovo anno produttivo, di un incarico, il lancio di un progetto, una transizione di ruolo, una fase di reimpostazione degli obiettivi dopo la pausa estiva. All’inizio siamo carichi. Ma dopo due giorni dal rientro, lo slancio performativo sembra scemare, e ci sentiamo già stressati. Attenzione – però – difficilmente si tratta di stress, e verosimilmente l’entusiasmo della ripartenza non è rimasto in aeroporto: viviamo, probabilmente, quel mix di urgenza emotiva, energia e vulnerabilità, che può diventare una preziosa leva di crescita.
Immaginiamo uno scenario positivo possibile. Elena è una manager che rientra dalle vacanze, sapendo di avere la responsabilità di avviare una nuova strategia: sente la resfeber come tensione creativa, una febbre che, se ascoltata, può tradursi in visione e leadership rinnovata, una sorta d’inquietudine attivante che accompagna le fasi di ripartenza.
Ostacolo o risorsa?
Vivere la resfeber in modo consapevole può trasformarsi davvero in una risorsa. La letteratura sul flow (Csikszentmihalyi, 1990) dimostra che gli stati emotivi caratterizzati da sfida e coinvolgimento attivo possono migliorare la prestazione. Analogamente, l’emozione della resfeber può essere orientata verso una forma di energia creativa, una preparazione rigorosa e un’apertura al cambiamento.
Risonanze filosofiche
Resfeber descrive una condizione che mi ricorda ciò che Kierkegaard sosteneva sul concetto di angoscia. Kierkegaard distingueva tra l’angoscia come vertigine e come forza generativa: una febbre che ci avvicina alla possibilità autentica. La resfeber abita – secondo me – proprio questo confine. La filosofa Martha Nussbaum, inoltre, dice qualcosa di interessante sull’emozione, che non è semplice impulso, ma forma di intelligenza pratica. Anche la resfeber, intesa come emozione complessa, può orientare azioni consapevoli e mature.
Stare nella soglia
Resferber è l’inizio inquieto di Rainer Maria Rilke: ogni passaggio vero comincia con un fremito, una resistenza fertile che ci obbliga a essere presenti. Accogliere la resfeber significa valorizzare i momenti di instabilità creativa. Tentare di eliminare l’incertezza non è funzionale, ma usarla come segnale che qualcosa sta davvero cambiando, sì. Nel ciclo annuale del lavoro, l’estate – con le sue partenze e i suoi rientri – è un laboratorio perfetto per allenare questa consapevolezza. Tornare sul campo, alla quotidianità professionale, alla routine e saper riconoscere la febbre del partire può trasformare un ritorno meccanico in una transizione dinamica e generativa.