
24 Mar Verbalia | Kintsugi
Perché riparare è più faticoso di passare al nuovo? Questa domanda ci introduce al kintsugi, l’arte giapponese che valorizza le crepe, le esalta, trasformandole in segni di bellezza. Oltre a essere una tecnica di restauro, il kintsugi incarna il concetto di antifragilità: le cicatrici e le rotture possono diventare momenti di crescita, rivelando una forza nuova e irripetibile. In uno scenario dominato dalla ricerca ostinata della perfezione, invece di sostituire, riparare diventa un atto di valorizzazione delle imperfezioni.
Nuova vita
Il termine giapponese kintsugi (金継ぎ) è formato da due parole: kin (金), che significa oro, e tsugi (継ぎ), che significa riparare o unire. Quindi, letteralmente, kintsugi vuol dire riparare con l’oro. Questa pratica ha origine nel Giappone del XV secolo, quando un oggetto prezioso, come una tazza o una ciotola, veniva rotto e riparato con l’oro, trasformando ogni crepa in un elemento visibile e da valorizzare. Oltre a riparare l’oggetto, quindi, le incrinature prendevano una nuova vita, un destino ancora più affascinante. Il kintsugi è un invito a riconoscere la bellezza nei difetti, nelle parti sbagliate, negli errori, che sono parte di un racconto, di un percorso, e non la fine di una storia, di un’opportunità o di un progetto.
Nuova identità
Nel pensiero giapponese, wabi-sabi celebra la bellezza nell’imperfezione e nell’effimero. Kintsugi è perfettamente allineato con questa filosofia: invece di nascondere i difetti, li esalta, trasformando un oggetto rotto in qualcosa di unico. La rottura diventa, quindi, parte della sua identità, e non qualcosa da cancellare.
Questo approccio riguarda gli oggetti, e anche la vita. La cultura giapponese insegna che, invece di cercare la perfezione, possiamo accogliere le nostre imperfezioni e imparare a valorizzarle. Quindi, quando qualcosa si rompe – sia un oggetto, un sogno, o anche noi stessi – non dobbiamo vedere la fine, ma un’opportunità di crescita, proprio come quando si ripara una ceramica con l’oro: kintsugi.
Sostituire o riparare?
La cultura del consumo rapido – throwaway culture – ci invita e abitua a sostituire, invece di riparare. Innovazione, cambiamento, velocità sono spesso più apprezzati della durabilità: preferiamo acquistare un nuovo prodotto invece di investire tempo ed energia per riparare qualcosa che si è rotto. Perché – in fondo – è più facile sostituire, che riparare. Ma il kintsugi invita a fare l’opposto: aggiustare e valorizzare ciò che è stato danneggiato. Le crepe, invece di essere nascoste, diventano la parte più interessante e pregiata dell’oggetto, e il processo stesso di riparazione è celebrato come un atto di creazione.
Vale anche per noi, per le nostre vite? Le difficoltà, i fallimenti e i momenti di crisi possono essere vissuti come incidenti, imperfezioni da cancellare, o come opportunità per crescere e prosperare. Come nel kintsugi, possiamo scegliere di riparare le ferite generate dalle nostre esperienze, rendendo le cicatrici segni di un percorso di evoluzione e di bellezza, non di sconfitta.
Unici e antifragili
Torniamo, per un momento, all’antifragilità, perché in questa rilettura diventa un concetto ancora più potente: sopravvivere alle difficoltà, e addirittura trarne vantaggio. Oggetti o persone antifragili non solo resistono alle rotture, ma si rafforzano grazie a esse. E qui arriva il bello: il kintsugi è una metafora perfetta di antifragilità. Va ripensato il significato della rottura, perché ci renda più forti, migliori, più densi di esperienza e, in un certo senso, più unici.
Riparare è davvero più faticoso di passare al nuovo? E se, invece di sostituire, cominciassimo a riparare ciò che consideriamo rotto? Cosa potrebbe accadere se iniziassimo a pensare al contrario, a riconoscere nella ferita l’evento che libera qualcosa di nuovo e prezioso dentro di noi, per rigenerarci?
Bonus track
Quale personaggio, reale o immaginario, ti fa pensare al kintsugi?
Io non ho dubbi: Harry Potter. Ogni volta che Harry affronta e supera una difficoltà, diventa più forte, più consapevole. Le difficoltà che Harry incontra lo trasformano, lo rendono antifragile. L’attitudine di Harry è – secondo me – un esempio perfetto di kintsugi. La sua cicatrice – che rappresenta la morte dei genitori e la lotta contro Voldemort – è sia il segno di un trauma, che il simbolo della sua antifragilità. La cicatrice di Harry, quindi, non è un marchio di ciò che ha perso, ma una testimonianza di ciò che ha superato.