Se la meraviglia è un atto di ribellione

Se la meraviglia è un atto di ribellione

Perché un pensiero cambi il mondo, 
bisogna prima che cambi la vita 
di colui che l’esprime. 
Che cambi in esempio. 
Albert Camus (Taccuini, 1935-59)

È sabato, siamo in un polo commerciale ai confini del Grande Raccordo Anulare. Forse per comprare un mobile o altro, non ricordo. La bambina si è addormentata in automobile, pioviggina, il centro è pieno di gente, fatichiamo a trovare un parcheggio. Nina si sveglia e intercetta una grande giostra, con cavalli infiocchettati e carrozze dorate. Vuole andare, e una delle regole della casa è: mai negare un giro di giostra. Paghiamo il nostro gettone; salgo con Nina, che sceglie fra molti, un piccolo cavallo nelle retrovie, che non si muove nemmeno. 

È lui il più bello, mamma! 

Penso: “Ha la faccia da brocco…”, ma taccio. 

La giostra comincia a girare, io giro con la giostra ed entro, inconsapevole, nella multiforme galleria dell’avventura umana: un papà chiama il figlio, che monta –  inequivicabilmente! – un purosangue; il papà lo incita ad andare più veloce e incalza urlando un texanissmo Yauuh!

Una mamma riprende con il suo smartphone la figlia sulla carrozza-tutta-rosa.  Gira intorno, per mantenere l’inquadratura e nel farlo, investe tutti quelli che si trovano sulla sua traiettoria; tuttavia, non desiste, travolge un bambino che cade, sollevando l’ira funesta dei genitori.

E ancora, giriamo: una serie ininterrotta di braccia tese, che tengono smartphone per immortalare il momento palesemente storico. Strèpito di meccanismi e di voci, gridolini di paura e di entusiasmo dei bambini, esclamazioni sguaiate degli adulti. In velocità centrifuga, distinguo chiaramente un “Dajeee!” motivazionale ed un paio di più composti “Anvediii!”: mi sento confusa, a disagio.

Scendo, stordita. Mi desta l’urto di un papà, che per guadagnare la posizione nel prossimo Palio, quasi mi fa cadere. Sono infastidita e turbata. Provo il forte desiderio di ribellarmi a quello spettacolo mediocre, di salire come un’amazzone sul cavallo più alto e gridare:

 Ma dai! Ma bastaaa! 

Nina – intanto – corre verso il papà e sgargiante, esclama: 

Papà, è stato meravigliosooo! 

La bombarola manierata – Questo aneddoto rivela, con sarcasmo impressionistico, la mia naturale e particolare attitudine a percepire il perturbante (per Freud, Das Unheimliche). Il perturbante è il sentimento che si sviluppa quando una cosa (o una persona, un’impressione, un fatto o una situazione) viene avvertita come familiare ed estranea allo stesso tempo, cagionando generica angoscia unita ad una spiacevole sensazione di confusione ed estraneità. Una inclinazione che ha sempre tenuto alto il mio senso critico, procurandomi l’epiteto di bombarola, discretamente piegata nel tempo e con l’educazione, alle maniere civili, attraverso una grammatica socialmente accettabile. Non diversa da tutti voi – credetemi – animali dissenzienti, come ci vuole Heidegger. L’essere-nel-dissenso è un aspetto specifico dell’uomo, sola “creatura che in natura rifiuti di essere ciò che è” (A. Camus). Rifiutare le forme date della realtà e del suo ordine simbolico, appartiene alla normale inclinazione umana all’autonomia e all’indipendenza: un gesto che prima di essere politico, è esistenziale.

Ciò che non siamo, ciò che non vogliamo –  Nella nostra quotidianità e nella nostra coscienza, il dissenso prende la forma di passioni poliedriche, che esprimono un sentire diversamente (dissentire da dissentio), rispetto al modo comune. Nel confronto con ciò che non siamo e con ciò che non vogliamo, si costituiscono in noi sentimenti ribelli, antagonismi e divergenze, a cui spesso – però – non diamo né voce, né altra forma estroflessa e sociale. Sentiamo che non è quella la realtà che vogliamo, che non sono quelle le possibilità che desideriamo, che non ci riconosciamo in alcune forme socialmente organizzate. Sentiamo che non ci basta il “si dicesocial e planetario, che non siamo divisibili per quel minimo comune denominatore. Tuttavia, di fronte ad un modello omologante, il nostro sentire altrimenti non trova le parole per dirlo. Del conflitto tra essere e dover essere, si nutre la “coscienza infelice, dice Hegel. Rifiutare è già agire, e nella dialettica del dissenso, affermare ciò che non è ancora, significa avere già un’alternativa per uscire dalla passività.

Non domandarci la formula
che mondi possa aprirti,
sì qualche storta sillaba e secca come un ramo.
codesto solo oggi possiamo dirti,
ciò che non siamo, ciò che non vogliamo.
E. Montale

More Philosophico  – Come filosofi di strada, lasciamoci colpire e perturbare dai problemi che il pensiero comune sembra non cogliere e non ravvisare. Lasciamoci colpire, perché questa esperienza non produca una narrazione neutrale, ma lasci spazio alla nostra naturale disposizione filosofica a vedere e raccontare, se occorre, anche l’abisso che ci separa dal comune sentire. 

Non è meraviglioso che esista tutta questa infinita molteplicità di enti, di cui nessuno uguale all’altro, nessuno identico all’altro, tuttavia in relazione gli uni con gli altri? Non è tutto ciò meraviglioso, tremendo e meraviglioso? Non è tutto ciò un problema?” (da Come nasce la filosofia?https://www.youtube.com/watch?v=xfTwWg-O4Mw di Massimo Cacciari).

Perché adottare un atteggiamento filosofico? Perché scegliere, così, di fare a meno della consolazione? Perché “consolarsi spegne il pensiero e annulla il discernimento; la meraviglia invece nasce dalla disposizione a non rimuovere quel che potrebbe negare la tua visione del mondo. Per meravigliarti davvero devi essere disposto a mettere costantemente in dubbio ogni cosa, altrimenti non puoi essere un cercatore che anela sinceramente alla verità, anche a costo che non sia bella” .*

La filosofia problematizza tutto, non presuppone nulla. Meraviglia è farsi colpire dal problema, sviluppare l’interrogazione, percorrere la strada oltre la chiacchiera, il “si dice”, il comune pensiero.

Che cosa sono le nuvole? – Nel film Capriccio all’italiana, c’è un episodio girato da Pasolini, in cui Totò-Iago sospira: “Ah, straziante meravigliosa bellezza del creato!”.  È più semplice cogliere il senso profondo della meraviglia davanti a qualcosa di grandioso, come un panorama mozzafiato, perché ci attraversa con la sua bellezza vitale. Ogni esperienza non ordinaria è però in grado di colpirci, anche se profondamente dolorosa o semplicemente in contrasto con le nostre aspettative. Che fare, allora, quando a perturbarci è ciò che non conferma la nostra visione delle cose? Come contenere anche gli elementi in contrasto con i nostri desideri e le nostre convinzioni?

La verità è nomade – La tentazione più immediata, è agire per semplificazione. Togliere, escludere e attraverso un atto di rifiuto, negare una parte della realtà. Ma non possiamo dimenticare che siamo filosofi di strada, e il nostro metodo è complicare e spiegare, legare e sciogliere. E nel farlo, adottare un atteggiamento di sospensione del giudizio di fronte ai fenomeni: abbandonare metodologicamente i nostri riferimenti, per riconoscere categorie, enti, ordini e cosmogonie concettuali diverse dalle nostre.

Meravigliarsi implica sapersi muovere nel mondo, facendo a meno del proprio limitato set di categorie, di enti, di ordini e di cosmogonie concettuali. E la capacità di sottrarsi alle proprie certezze è in sé un atto di pura ribellione. Non dare per scontata alcuna condizione del proprio sapere, disobbedire ai propri pregiudizi. Meravigliarsi è affidare il proprio pensiero a due parentesi ( ), qui e nel presente, per amore di una verità nomade.

Solo l’amare, solo il conoscere 
conta, non l’aver amato,
non l’aver conosciuto.
P.P. Pasolini

Perché un pensiero cambi il mondoCi sono problemi che prima d’essere risolti, possono essere disinvestiti di parti problematiche superflue. Se il contenuto lo permette, si può addirittura disinnescare totalmente il problema. Il metodo filosofico di cui ho parlato, non ha un fine, ma serve:Serve perché è al servizio di tutti” ed ha a che fare “con la relazione, con lo scoprire e il custodire quel che può servire”.*

La verità è che io ho studiato tanto, ma la vera filosofa ribelle in famiglia è Nina. 

Quel giorno, sulla giostra, ho sentito crescere in me il dissenso. Volevo controllare la realtà, ridurla in uno spazio chiuso e impermeabile, gratificare il mio modo di essere e compiacere la mia limitata visione del mondo. Quel giorno, prima di scendere dalla giostra, avrei potuto fare un passo indietro, abbracciare il brocco e cambiare punto d’osservazione. Avrei potuto adottare un pensiero semplice, lasciar andare, farmi attraversare dalla meraviglia come Nina. Invece, sono rimasta in silenzio, incapace di cambiare pensiero e di essere un esempio per lei. L’ho guardata allontanarsi soddisfatta, e ho solo pensato:

Fa’ che gli sia dolce,
 anche la pioggia nelle scarpe, 
anche la solitudine.
F. De Gregori

* Lezioni di meraviglia, Andrea Colamedici, Maura Gancitano, Ed. TLÖN, 2018 

Alessia De Carli
adecarliff@incontatto.it