Parole manomesse – 2 #diversità

Parole manomesse – 2 #diversità

Dedico questo post

ai folli, agli anticonformisti, ai ribelli, ai piantagrane, a tutti coloro che vedono le cose in modo diverso. Costoro non amano le regole, specie i regolamenti, e non hanno alcun rispetto per lo status quo. Potete citarli, essere in disaccordo con loro, potete glorificarli o denigrarli, ma l’unica cosa che non potrete mai fare è ignorarli, perché riescono a cambiare le cose, perché fanno progredire l’umanità. E mentre qualcuno potrebbe definirli folli, noi ne vediamo il genio. Perché solo coloro che sono abbastanza folli da pensare di poter cambiare il mondo, lo cambiano davvero (1)

Ogni volta che leggo questo passo penso a lui.

No, non a Steve Jobs.

A lui, Roger Federer.

L’impeccabile svizzero, da molti considerato il più grande tennista di tutti i tempi, un alieno sulla terra rossa, un galantuomo con i superpoteriha raccontato d’essere stato nella sua adolescenza un vero ribelle:  irascibile, irrispettoso, eccessivo… Lo avreste mai detto? 

Ai confini dell’ambiguità

Nel tentativo di ricostruire la storia del concetto di diversità, mi è parsa subito evidente la difficoltà di circoscrivere una problematizzazione teorica. Intendo dire che la diversità è stata concettualizzata soprattutto come problema di ordine pratico, e le sue declinazioni affrontate rispetto a sistemi di riferimento definiti di volta in volta da norme e da valori. La diversità è generalmente connotata attraverso le sue qualità, che la specificano come culturale, etnica, religiosa, sessuale etc.. Il concetto segna pertanto una sorta di zona di confine, che mantiene inevitabilmente un alto tasso di promiscuità e ambiguità. In termini più tecnici, il concetto di diversità ha la funzione di gatekeeper, segna cioè il punto tangente tra poli opposti: identità e differenza, uguale e diverso, noi e loro.

Diversamente unici

Le scienze sociali, ma anche le discipline scientifiche cosiddette dure, hanno esplorato a diversi livelli di analisi il campo d’influenza del concetto di diversità, tra cultura e natura, identità e alterità, ordine sociale e devianza. Nondimeno, la diversità è frequentemente oggetto di discussione sui social media, e nelle conversazioni quotidiane, anche quelle tenute al ritmo di gettoni che scendono nel distributore del caffè!

Non sono grasso, sono diversamente magro! 

Ognuno di noi ha probabilmente un collega o un amico simpatico, che almeno una volta ha coniato una variante sul tema diversamente qualcosa!

Parliamone 😀

Nessuno mi può giudicare, nemmeno tu

Che cosa c’è di così cool, nella diversità? Da dove ha origine quella scintilla che scocca dagli occhi di chi si definisce pecora nera, anche quando ciò significhi essere palesemente portatori di caratteristiche negative?

Perché il diverso piace, agevola il self marketing, restituisce un messaggio implicito: se sono unico, non ci sono paragoni. Quindi, nessuno mi può giudicare, nemmeno tu.

La biologia ci rassicura: il corredo genico di ognuno di noi è assolutamente originale e irripetibile. Siamo davvero individui unici, self-made men, limited edition.

Ma qual è il significato evolutivo di questa unicità?

Probabilmente, la tendenza alla disomogeneità, trova giustificazione nella necessità evolutiva di mantenere variabilità all’interno della specie.

E fin qui, nulla da eccepire.

Manomissione 1

Andando a smontare (o manomettere) anche stavolta la parola, troviamo che divèrso è un aggettivo, che deriva dal latino divĕrsus, a sua volta derivato dal participio passato di divertĕre = scostarsi da, allontanarsi, divorziare, deviare. E’ composto di di(s) e vertĕre, «volgere».

Volgere in altra direzione. 

Se c’è stato un punto d’origine in comune, dunque, è accaduto poi che qualcosa sia andato in una direzione, e qualcos’altro nella direzione opposta. Opposta alla somiglianza o all’identità. Ciò che era uguale, si è distinto, si è allontanato ed è diventato completamente diverso da quel che era, quindi un’altra cosa.

Una cosa aliena. Non riconoscibile, non classificabile, non identificabile e, a dirla tutta, anche un po’ temibile.

La diversità abita proprio in quegli spazi in cui le routine non si ripetono, e gli schemi e gli automatismi si interrompono. La diversità è quel momento in cui l’esperienza della vita quotidiana non è più fonte di tranquillità e di sicurezza ontologica (Giddens 1999), bensì di ansia e di angoscia.

Manomissione 2

Un secondo significato del verbo è essere differenti. Anche se diversità e differenza vengono utilizzati come sinonimi, di fatto sono da considerarsi come concetti distinti. La diversità suppone un cambiamento, che persegue consapevolmente o meno, una novità. La differenza, invece, suppone un confronto, che si compie per chiarirsi le idee e precisarle, per non confondere le cose.

Per quale motivo le differenze ci sembrano talvolta inquietanti? Probabilmente perché non ne conosciamo le origini. E meno le conosciamo, più ci appaiono inquietanti. Per rimediare a questo problema, occorre quindi approfondire la conoscenza, la cultura del cambiamento e della diversità. Ma siamo sicuri che questa tendenza sia di fatto percepita e attuata, per esempio nel mondo aziendale?

Secondo una rilevazione condotta dall’International Business Report, realizzato da Grant Thornton International, su 2.500 aziende a livello globale distribuite in 35 Paesi, di cui 50 italiane, gli imprenditori snobbano la diversità come valore aggiunto in azienda. La ricerca ha sondato l’opinione degli imprenditori sul tema della diversity, per comprendere se intendessero mettere in campo azioni per favorirne la diffusione all’interno delle proprie aziende. Solo 14% degli imprenditori però, ha dichiarato di avere specifici piani da mettere in atto per incrementare questo fattore all’interno del proprio management e tra le figure chiave delle imprese.

Eppure il tormentone dei più, richiama spesso il leit motiv fare la differenza!

Qualcosa non torna, ma andiamo avanti.

Dissonanze cognitive

Il terzo significato del verbo latino è portare via. Sì, ma che cosa?

L’etologia umana, stavolta, ci viene in aiuto.

Intorno ai sei mesi, i bambini cominciano a distinguere le persone familiari dagli estranei e reagiscono con simpatia verso i primi e con avversione e evitamento verso i secondi. Se hanno a che fare con estranei, cercano una persona nota che li rassicuri. I bambini soprattutto quando sono in gruppo, tendono a stigmatizzare e isolare gli outsider e i diversi, usando varie procedure, principalmente il dileggio e l’aggressione. Ogni gruppo tende a fissare arbitrariamente dei criteri standard di normalità e qualunque differenza vistosa rispetto a quei criteri funziona come trigger, per indurlo a rifiutare le irregolarità percepite, anche in modo aggressivo. Secondo Irenäus Eibl-Eibesfeldt questa risposta comportamentale è un’aggressione educativa, perché serve a spingere il diverso ad adeguarsi alla norma del gruppo, in modo che tutto torni normale.

E’ un po’ come dire che se arriva un’esperienza nuova, dei pensieri estranei, un elemento sovversivo rispetto alla norma, il nostro standard è minacciato e messo in discussione, e tende a respingere ed escludere per mantenere la sua omeostasi. La diversità ci porta via la sicurezza di poter restare nel fortino di quella che tradizionalmente consideriamo la condizione normale.

Il punto è che la diversità si trova in una relazione fondamentale con l’identità: solo se due cose sono per qualche aspetto identiche possono tra loro essere diverse. E questo – a scanso d’equivoci – lo diceva Aristotele.

L’identità è un’unità d’essere o di una molteplicità di cose, oppure di una sola cosa, considerata però come una molteplicità: per esempio quando si dice che una cosa è identica a se stessa, nel qual caso viene considerata appunto come due cose

(Aristotele, Met. 1018 a 8-9)

Le differenze sono quindi determinazioni della diversità o dell’alterità e, nel contempo, sono una determinazione dell’identità.

La diversità è dunque: cool ed esclusiva, affascinante ma repulsiva, arricchente ma temibile, moltiplicativa ma anche divisiva. La diversità è eretica.

Non occorre fare grandi cose: basta semplicemente avere il coraggio, di tanto in tanto, di essere irriverenti verso se stessi e fare incursione in un luogo diverso dalle nostre aspettative. C’è sempre tempo per tornare ad essere come/dove siamo, o crediamo di essere.

Noi siamo uguali agli altri, 

noi siamo come tutti gli altri, 

noi siamo diversi, noi siamo diversi, 

noi siamo uguali agli altri, 

ma siamo diversi, 

ma siamo uguali agli altri, 

ma siamo diversi

Mamma! 

Mamma, vienimi a prendere! 

(Michele Apicella – Palombella Rossa)

 

(1)https://web.archive.org/web/20030602031811/http://www.apple.com/thinkdifferent/

Foto: <a href=’https://it.123rf.com/profile_Orla’>Orla / 123RF Archivio Fotografico</a>

Alessia De Carli
adecarli@incontatto.it