Parole manomesse – 3 #normalità 

Parole manomesse – 3 #normalità 

Da vicino nessuno è normale

Se avete pensato di potervela cavare, beh non me ne vogliate. 

De perto, ninguém é normal. È un verso della canzone di Caetano Veloso, Vaca profana, che racconta la storia di una donna che dispensa, in base a chi si trova di fronte, il suo latte buono o cattivo. Nei primi anni Novanta questa canzone fu portata a Trieste e fatta ascoltare nel laboratorio di arti visive e serigrafia dell’ex ospedale psichiatrico cittadino, situato all’interno del Parco di San Giovanni. La frase venne presa e usata da Pino Rosati (il direttore artistico del laboratorio), per sintetizzare il rifiuto dello stigma infamante e omologante sulla malattia mentale. 

Normali o esatti?

Nel post precedente, ho indagato il tema della diversità e delle differenze, mostrando come queste ultime possano restare imbrigliate nella definizione-rappresentazione di distanza dalla norma. 

L’etimologia della parola normale è da ricondursi al latino nòrma, sostantivo che indica la squadra (detta anche regola), lo strumento utile a misurare gli angoli retti, da cui normalis = perpendicolare, retto. Pertanto, si deduce come l’idea di normalità richiama quella di rettitudine, di esattezza, di regolarità. Ha come sinonimi abituale, comune, consueto, logico, giusto, equo. In medicina è sinonimo di sano, naturale. (1)

Il concetto di normalità riposa dunque per definizione in un ambiente semantico abilista, e gli allontanamenti – cioè le differenze – assumono un valore negativo, evidenziando la dicotomia tra le categorie di rettitudine-esattezza-logicità/deficit di rettitudine-esattezza-illogicità. 

Anche stavolta, proverò ad usare un approccio critico al linguaggio normativo-sociale,  stavolta riferito ai concetti di norma e di norma-lità. E lo farò seguendo una delle mie normali, quanto rivelatrici – spero – manomissioni di parole. 🙂

Prescrizione e descrizione

Una norma è, si potrebbe dire, una proposizione normativa che tende a riconoscere e stabilire un comportamento normale: il carattere della normatività riguarda il fine, quello della normalità il risultato. (2)

La distinzione proposta da Norberto Bobbio fra normale – ciò che inerisce il contenuto ed il risultato della norma, e normativo – ciò che riguarda il fine della norma – evidenzia una relazione tra la due categorie, per cui ogni norma giuridica tende a riconoscere e stabilire un comportamento normale.

Nel Vocabulaire technique et critique de la philosophie (1938), André Lalande scrive:

[…] È normale, nel senso più usuale del termine, ciò che si trova nella maggior parte dei casi di una particolare fattispecie, o ciò che costituisce la media o il modulo di un carattere misurabile.

È normale ciò che è allineato e squadrato, ciò che si mantiene nel giusto mezzo. Lalande deriva poi altre variazioni semantiche: è normale ciò che è come deve essere; è normale, nel senso più usuale del termine, ciò che si verifica nella maggior parte dei casi.

Lalande mostra infine alcune interessanti metamorfosi semantiche: la definizione di normale può designare, allo stesso tempo, un fatto ed un valore attribuito a questo fatto da colui che parla, in virtù di un giudizio di valore che egli fa proprio. In questa intima connessione semantica risiede quindi l’ambiguità di un termine capace di scivolare indifferentemente dal piano dei fatti, alla superficie dei valori.

Nel 1943 l’epistemologo francese Georges Canguilhem nel suo Essai sur quelques problèmes concernant le normal et le pathologique (1943), riprende l’analisi semantica e concettuale del termine normale svolta da Lalande.

Si è spesso osservata l’ambiguità del termine normale che designa talvolta un fatto passibile di descrizione statistica – media delle misure compiute su un tratto presente in una specie e numero degli individui che presentano questo tratto secondo tale media o con taluni scarti ritenuti irrilevanti – e talvolta un ideale, un principio positivo di valutazione nel senso di prototipo o di forma perfetta.

Ritroviamo quindi tutta l’ambiguità insita nel concetto di normalità, tra significato statistico, principio di valutazione di un fatto e valore attribuito a quel fatto.

La normalità perde così la rigidità di un dato di necessità e rivendica la flessibilità di una norma, che si trasforma in funzione delle condizioni ambientali. A questo punto, non si può più definire una differenza netta tra normale e a-normale. Le due categorie si rivelano indeterminate e approssimative nei contesti generalisti, e assumono invece significato esatto per il singolo individuo, nel limite dell’orizzonte dei significati che egli solo vi attribuisce. 

Ma l’impresa eccezionale –  dammi retta – è essere normale (L.Dalla)

Scendo qualche gradino lungo la scala accademica del post, e vi parlo di quanto la normalità sia per noi spesso un’ossessione semplice e quotidiana. 

Mentre svolgevo questa ricerca e ricostruzione di significati, relativamente al concetto di normalità, ho pensato spesso alle mamme che scrivono nelle chat delle mamme. In questi luoghi virtuali, che completano spazi di confronto altrimenti inesigibili per una normale mamma multitasking, si parla generalmente di:

  1. regali alle maestre 
  2. vestiti scambiati 
  3. tappe evolutive normali di uno sviluppo psicofisico normale

Evidenzio che il punto 3) è anche l’unico ad essere trattato – di solito – senza alcun rigore scientifico!

Irene ha tolto il pannolino a 2 anni e 4 mesi. Il fratellino ne ha 3 e ancora non vuole saperne. Sarà normale?

Giacomo non pronuncia ancora bene le parole con doppia consonante per esempio, quando dice in-con-di-zio-na-ta-men-te si impiccia un po’ la lingua e dice iccoddizionatamette. Mamme, help! secondo voi, è normale?

Chi è, che cosa è pienamente normale? Chi corrisponde a un prototipo prefissato? Chi sceglie il prototipo? Chi lo standard di performance? E se valutassimo, invece, che ogni persona, ogni individuo, conserva il proprio unico e irripetibile potere normativo, cioè la capacità di creare continuamente norme? 

Dove si nasconde la normalità? 

Ecco, la proposta è di cercare la normalità non nella capacità di evitare le variazioni, le differenze, ma in quella di integrarle all’interno di un diverso sostrato normativo. Vale a dire, che in luogo di una norma oggettiva, si può far riferimento a molteplici norme, che corrispondono alla specificità di ogni individuo: norme individualizzanti, quindi, ma che moltiplicano e riposano in un reticolo di relazioni, con quelle degli altri. 

Riposano, sì, come direbbe Giacomo: iccoddizionatamette. 

 

  1. http://www.etimoitaliano.it/2014/07/normale.html
  2. Norberto Bobbio, Contributi ad un dizionario giuridico, 1994
Alessia De Carli
adecarli@incontatto.it